Il veleno perfetto

Il professor Kalitin è un chimico spietato e narcisista, ma anche geniale. Mentre lavorava in una località segreta su un’isola nell’estremo oriente russo ha sviluppato un veleno irrintracciabile ed estremamente letale che hanno battezzato col nome di «Debuttante». Quando l’Unione Sovietica crolla, diserta e ripara in Germania dove gli viene data una nuova identità. Tutto sembra scorrere pacificamente sui binari di una nuova normalità, ma quando un banchiere viene assassinato con il veleno di Kalitin, la sua copertura salta ed è coinvolto nelle indagini sulla morte della polizia tedesca. Nel frattempo due assassini delle forze speciali con le mani sporche di molto sangue ceceno vengono mandati per farlo tacere, usando il suo stesso veleno… Uno straordinario e impetuoso thriller letterario sui veleni di ogni tipo: fisici, morali e politici. Sergej Lebedev affascina con intuizioni vertiginose sugli abissi della storia recente e sul fascino senza tempo per il veleno perfetto, quello che non solo uccide ma diffonde anche la paura che è molto più tossica di qualsivoglia sostanza chimica creata in un laboratorio segreto.

Arrivato in libreria pochi mesi fa il romanzo di Lebedev si rivela più attuale che mai inseguendo la storia e l’intrigo internazionale che circonda uno scienziato russo che ha inventato il veleno perfetto, quello che nessuno può rintracciare

Non c’è stato in Russia – dopo Aleksandr Solženicyn – uno scrittore altrettanto ossessionato dalla storia di quel paese e dalle tracce che ha lasciato nella coscienza collettiva, di Sergej Lebedev.  Ricco di trame, colori, suoni e dettagli visivi … Lebedev è probabilmente il migliore tra gli scrittori russi della nuova generazione. ORLANDO FIGES, NEW YORK REVIEW OF BOOKS

Nei libri di Lebedev c’è sempre la storia – si stende come un’ombra su tutto ciò che scrive – e il fatto che la sua presenza sia così potente suggerisce che conflitti e tensioni sono ancora irrisolti, hanno ancora un impatto sulla società russa in modo oscuro ma palpabile. KARL OVE KNAUSGAARD

Lebedev offre un’affascinante scorcio della Russia moderna. ANNE APPELBAUM

Lebedev svela ciò che la maggior parte degli scrittori sovietici e post-sovietici ha rifiutato di vedere. VLADIMIR SOROKIN

Sono stato ammaliato dal lirismo vellutato della sua prosa e dalla sua trama alla John Le Carré. THE GUARDIAN

Così bello come la letteratura russa non è stata da molto tempo: realistico, poetico ed eccitante fino a consumarti.

MAXIM BILLER

Un superbo thriller letterario. THE TIMES, BOOK OF THE WEEK

Come inizia...

Era un bel pezzo che Vyrin aveva fatto l’abitudine ai prolungati e silenti acciacchi che accompagnano l’approssimarsi della vecchiaia. Sennonché, d’estate avvertiva sofferenze e tormenti fisici con maggiore intensità che nelle altre stagioni. Prendevano corpo e forza verso la fine di agosto, intorno all’anniversario della sua defezione, straziando articolazioni, vasi e pupille, per sparire poi senza problemi a inizio autunno, quando rinfrescava e il barometro si placava.

Sarà così che funziona una condanna a morte in absentia?, scherzava con sé stesso, percependo sulle labbra il gusto di assenzio di una morte procrastinata. Oppure è il corpo che si vendica per la nuova faccia creata dal chirurgo plastico, per il laser che ha eliminato vecchi nei e cicatrici? Magari ricorda tutto e vuole farmela pagare nella ricorrenza della mia fuga?

Le lenti a contatto per alterare il colore degli occhi gli procuravano continue congiuntiviti. Le gambe gli dolevano a causa del rialzo alle scarpe, uno stratagemma per sembrare più alto. La caduta dei capelli risultava aggravata dal ricorso alla tintura. In definitiva, essere un altro implicava un gravoso impegno quotidiano, cui non riusciva proprio a adattarsi.

Formalmente, l’uomo che era stato non esisteva più. Ormai era un altro. Un figlio di nessuno, un mutaforma con una biografia creata da maestri della menzogna e delle trasformazioni.

Una lingua diversa. Abitudini diverse. Addirittura, sogni diversi. Una memoria diversa, accumulatasi su quella passata.

Va detto che l’identità regalatagli si adattava a quella reale come una sorta di protesi; si contavano sulle dita di una mano le volte in cui la sentiva una parte naturale di sé.

Il corpo, sia pure ridisegnato dal bisturi, manteneva una memoria viscerale degli organi interni – intestino, fegato e reni –, nei quali si erano installate e cristallizzate scorie di vita, calcoli biliari e renali. Un corpo che contrastava e respingeva il nuovo aspetto, il nuovo nome e il nuovo destino, anche se, a causa della condanna, per Vyrin non c’era né poteva esserci un ritorno al passato: la banale condanna metaforica aveva anche una diretta forza giuridica.

Aveva pure imparato a non lasciarsi sopraffare, ma piuttosto ad apprezzare e osservare con simpatia l’ostinazione della carne soggetta al logoramento del tempo che negava il sacramento falso e confezionato di una seconda nascita. Corpo mio, mi sei rimasto soltanto tu, diceva talvolta con una strana tenerezza adolescenziale. In effetti, il corpo era ormai l’unica prova materiale di ciò che era stato un tempo.

A dire il vero, esisteva un’altra prova ancora, per lui inaccessibile, fuori dal suo controllo. Un fantasma di carta. Un duplicato della vita, uno speciale “Io” da archivio, che la gente comune non ha.

Il suo dossier personale di ufficiale.

La sintesi e l’essenza di ciò che era stato. Non ancora un transfuga, non ancora un traditore. Una cartella di cartoncino azzurro. 225 x 330 x 25 mm.

Una fototessera. Un questionario. L’autobiografia. Il rapporto di arruolamento. L’impegno di non divulgazione. I materiali di verifica dei servizi sull’idoneità a svolgere compiti riservati. Il test di resistenza fisica: una corsa campestre di tre chilometri. Documenti su documenti riguardanti le sue caratteristiche. 

Era al corrente che dopo la sua fuga era stato aperto un incartamento col timbro “TOP SECRET” e due zeri a precedere la numerazione: “Sulle misure in merito al tradimento di Vyrin A.V.” Era capitato anche a lui di leggerne di simili nella sua sezione, riguardanti altri. Erano tutti identici, sembravano scritti con la carta carbone. “Degenerazione ideologica. Decadimento morale. Misure per localizzare le conseguenze del tradimento”. Cambiavano solo i nomi dei soggetti da punire: direttori del personale, dirigenti delle sezioni di formazione, responsabili delle sottosezioni che non avevano dato prova della dovuta vigilanza e non avevano riconosciuto in anticipo il potenziale traditore.

Capiva che in un caso come il suo le sanzioni disciplinari non sortivano alcun effetto. Aveva servito l’agenzia con maggiore dedizione degli altri, e più degli altri si era spaventato allorché il Paese aveva cominciato a crollare e sembrava che il sistema sarebbe franato appresso a esso.

Cercava di convincersi che, essendo passati quasi trent’anni, le informazioni da lui fornite avessero perso importanza, così come il fatto di avere consegnato degli agenti. Questi ultimi, si diceva, sarebbero stati bruciati comunque; se a tradirli non fosse stato lui, ci avrebbe pensato qualcun altro. Semplicemente, aveva fatto in tempo a smerciarli come fosse denaro in procinto di svalutarsi catastroficamente. In capo a un anno o due, se l’URSS fosse sparita, a chi sarebbero più servite, per esempio, le sue rivelazioni sulla rete spionistica nell’ambiente dell’emigrazione antisovietica o tra le fila dei partiti comunisti europei?

Razionalmente, riteneva di essere abbastanza al sicuro. E tuttavia il suo dossier personale, rimasto al di là dell’ex confine sovietico per lui invalicabile, era una sorta di bambola vudù, nella quale in qualsiasi momento uno stregone avrebbe potuto conficcare i suoi spilli letali.

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