I miei amici Leonard e Hungry Paul

Intervista fatta da Elvira Grassi a Rónán Hession

Da dove nasce questo romanzo-fiaba sull’amicizia e la gentilezza?

Non avevo messo in conto di scrivere un romanzo né ambivo a diventare uno scrittore (la mia formazione è in campo musicale), ma sono cominciati a venirmi in mente sprazzi del personaggio che poi è diventato quest’uomo garbato e un po’ malinconico di nome Leonard. Me lo sono portato in giro come se lo tenessi in grembo. Ho deciso di scrivere di lui per poterlo conoscere meglio, e il romanzo è cresciuto partendo proprio da qui.

Mentre scrivevo ho rievocato tutte le persone gentili che mi hanno aiutato nel corso della mia vita e mi sono detto che forse sono loro l’ingrediente mancante della vita moderna. Sappiamo tutti cosa pensano le persone estroverse e chiacchierone, perché ce lo dicono, ma mi sono chiesto se ascoltiamo abbastanza le persone silenziose, pacate, che danno per davvero un grosso contributo nel mondo.


Leonard e Hungry Paul è una celebrazione delle persone che vivono vite tranquille e che sono felici delle loro quiete routine. È piuttosto inusuale in letteratura. Sono le vere “persone normali”. Perché ti interessava descrivere questo tipo di personaggi? Volevi dare il tuo contributo per colmare un vuoto nella letteratura?

Una buona fetta della letteratura ha come innesco il dramma e il conflitto, tuttavia la saggezza tendiamo ad associarla a persone pacifiche che vivono con semplicità. Queste persone non sono necessariamente padrone delle loro vite, ma come cantava Morrissey, “È così facile ridere, è così facile odiare, ci vuole fegato a essere gentili”, serve una grande profondità interiore per resistere alle provocazioni della vita moderna e cercare di costruirsi un percorso alternativo.

È vero che i personaggi meno appariscenti sono meno preponderanti nella letteratura anglofona ma non è così nel resto del mondo: nella letteratura giapponese in particolare c’è un focus più grande sui personaggi più tranquilli e su trame non conflittuali, o kishōtenketsu, come dicono i giapponesi.

I lettori italiani si chiederanno come mai Hungry Paul si chiama Hungry (che nella versione italiana non è stato tradotto) Paul, puoi dirci qualcosa in proposito?

Per prima cosa, diciamo che è il narratore a chiamarlo così – il suo nome non viene mai pronunciato nel libro dagli altri personaggi, per esempio, nei dialoghi.

Volevo dargli un descrittore che non fosse un descrittore. Hungry Paul è “Hungry Paul” proprio come una sedia è una sedia. La ragione di ciò è che sarebbe molto semplice inventarsi descrittori tali da permettere al lettore di esprimere giudizi sommari su un personaggio, riducendolo alle sue caratteristiche. In ogni caso volevo che i lettori imparassero prima di tutto a conoscerlo, in modo che una volta arrivati a fine libro non avessero più bisogno di un descrittore, che giungessero al punto da accettarlo per quello che era.

“Come talora accade con i giovanotti che preferiscono i giochi agli sport, Leonard aveva pochi amici ma parecchie idee”

Come mai hai deciso di non nominare la città in cui è ambientata la storia e di non descrivere fisicamente i tuoi personaggi?

Quando hai a che fare con personaggi “discreti”, diciamo così, credo che si possa facilmente spogliarli degli altri aspetti convenzionali della narrazione, come l’ambientazione. Dublino, per esempio, è un GRANDE personaggio letterario, quindi se avessi ambientato la mia storia nella mia città avrei già sottratto un po’ di spazio ai personaggi a beneficio di Dublino. Non volevo farlo. Non volevo che il libro fosse ancorato alla nostra realtà, a un tempo e a un luogo riconoscibili per il lettore. Parimenti non mi interessava usare troppe descrizioni fisiche perché possono avere un peso troppo grande e fungere da cartelli indicatori – volevo che il romanzo fosse in un certo senso una strada senza segnali. Volevo che i lettori si concentrassero sull’essenza di ciascun personaggio anziché, per esempio, sul fatto che uno avesse una cicatrice, che un altro zoppicasse o parlasse sgrammaticato.

Parliamo delle decisioni che hai preso in merito alla voce narrante. Il tuo è un narratore onnisciente molto ironico, mai giudicante, spesso naïf, proprio come i due amici protagonisti.

Durante la scrittura del libro avevo la certezza che il narratore onnisciente non fosse gradito agli editori – che potesse sembrare una forma di narrazione più ottocentesca. Ho passato ben dieci anni a leggere favole per i miei figli ed ero abituato al narratore onnisciente, che nei libri per l’infanzia è prevalente – è una specie di genitore putativo. Dal punto di vista del tono, volevo che il narratore desse l’impressione di divertirsi mentre raccontava, per cui mi sono concesso parecchio humour e parecchie osservazioni, e ho scritto improvvisando in modo che potesse sembrare una voce informale eppure intima.

 

… ma l’amore non entra mai nelle nostre vite

sulla base delle nostre scelte”

Il romanzo è molto divertente, pieno di scene buffe, surreali. Qual è quella che ti sei più divertito a scrivere?

Mi sono divertito tantissimo a scrivere la scena dei cioccolatini al supermercato. Ho riflettuto molto per capire dove collocare le pause e come arrivare alla risoluzione della scena, ma è stato divertente. Mi sono fatto anche delle gran risate mentre scrivevo le conversazioni tra Leonard e Hungry Paul – la chimica che c’è tra loro mi è venuta naturale, e mi è piaciuto parecchio ideare le battute per loro. Scrivevo senza pensare a un pubblico, e questo mi ha dato la libertà di intrattenere me stesso alla tastiera.

Il percorso verso la pubblicazione non è semplice in genere per un autore esordiente. Il tuo è piuttosto atipico. Ci racconti come sei arrivato al tuo editore?

Quando scrivevo non mi sfiorava nemmeno il pensiero che il libro sarebbe stato pubblicato – non perché non ci credessi ma pensavo semplicemente che il mondo dell’editoria volesse qualcosa di più drammatico e radicale. Poi ho letto un romanzo intitolato Uomo con gabbiano sulla testa di Harriet Paige e ci ho ritrovato qualcosa di molto simile al mio universo. L’aveva pubblicato Bluemoose, una piccola casa editrice indipendente del Regno Unito. Mi sono informato sulla casa editrice e ho apprezzato molto lo spirito indipendente e la loro dedizione agli autori. Una volta finito Leonard e Hungry Paul sono stati i primi a cui l’ho mandato e loro mi hanno risposto subito con un’offerta. Il nostro rapporto è stato centrale per il viaggio del libro nel mondo. Ho piena libertà artistica con Bluemoose, il che per me è fondamentale – hanno firmato per il secondo e terzo romanzo a scatola chiusa, senza nemmeno sapere di cosa parlassero. Magari altri editori potevano offrirmi più soldi ma io tenevo di più alla libertà artistica.

«Il Club del silenzio della domenica sera»

Un’ora seduti in silenzio al teatro dell’Associazione nazionale del mimo

Parlaci del tuo background da musicista. In che modo la musica influenza la tua scrittura?

Il mio primo concerto l’ho fatto nel febbraio del 1993, quindi è da una trentina d’anni che sono creativamente attivo. Ho fatto parte a lungo della scena musicale underground irlandese e ho pubblicato tre album in dieci anni – il mio terzo album è stato in short list come miglior disco irlandese dell’anno. Ogni tanto suono ancora ma la mia creatività ormai è incanalata quasi esclusivamente nella scrittura.

La musica può essere molto profonda – è meno concettuale della letteratura e quindi più spontanea e libera. Ho provato a far confluire questo spirito nella scrittura, evitando di aderire a un unico stile o un’unica voce, rispondendo invece all’idea creativa che mi si presenta, in qualunque modo mi si presenta. Credo inoltre che il mio background da compositore si manifesti nella scrittura narrativa per come mi piace punteggiare la prosa di note memorabili, quando posso.

LEONARD E HUNGRY PAUL

RÓNÁN HESSION

TRADUZIONE DALL’INGLESE DI ELVIRA GRASSI

COLLANA PASSI | PAGINE 320 | FORMATO 14,5CM X 21CM | € 19,00 | ISBN 979-12-5952-089-0