Il Danubio mi ha trasportato in molti posti d’Europa

Trascrizione parziale dell’incontro intitolato «Il Danubio. Un fiume, un continente» tra il giornalista Andrea Pipino e Nick Thorpe sul Monte Pasubio durante l’edizione estiva di Geografie sul Pasubio

Il libro «Danubio» si chiude con alcuni versi del poeta Kavafis su un villaggio che attende l’arrivo dei barbari, barbari che però non arrivano mai. E non si capisce bene se questi barbari siano una minaccia che la gente teme o una forza vivificatrice che dovrebbe giungere per rinnovare una civiltà sull’onda del collasso. 
Ci si chiede se esistono, se siano mai esistiti o se i barbari siano gli stessi abitanti del villaggio. 
Con questi versi Thorpe ci pone davanti alla domanda se l’Europa che ha conosciuto risalendo il Danubio, sia un’Europa dei barbari.
Quest’immagine sembra inseguirci sin dai tempi dei Romani quando il fiume era considerato il confine dell’impero (Ovidio ricorderete è stato esiliato vicino all’attuale Costanza. E quando fu spedito lì da Roma, raccontò quei luoghi come luoghi di non civiltà). Ecco spesso noi occidentali abbiamo avuto la stessa impressione di quella parte d’Europa e ancora oggi proiettiamo quegli stereotipi sull’Est. 
La realtà è ben diversa: quell’Europa non è barbara, è una parte d’Europa che ha una civiltà molto complessa e uno dei meriti del libro è di raccontarla con profondità e dovizia di dettagli di tipo storico, letterario, archeologico. 
Partendo dal fatto che risalendo il fiume ha scoperto che il Danubio non è un confine di civiltà, che i barbari non ci sono e che l’Europa dell’Est non è il territorio dei barbari, la prima domanda che mi viene da porre a Thorpe è se quando ha cominciato il suo viaggio sapeva che sarebbe giunto a questa conclusione oppure se l’ha compreso solo durante il viaggio.

Prima di rispondere vorrei dirvi quanto sia bello essere qui, Il Danubio mi ha trasportato mi ha trasportato con la sua corrente in molti posti d’Europa, come del resto è nella natura dei fiumi visto che scorrono, ma credo che non mi abbia mai fatto riemergere, spiaggiato, in un posto meraviglioso come questo. Questa sera è come se mi sentissi e fossi in mezzo al nulla. Sono riemerso sulla cima di questa montagna e il fiume si è ritirato lasciandomi qui…

Se penso agli ultimi 35 anni di vita che ho trascorso nell’est, in particolare in Ungheria che è diventata la mia casa, direi che quando sono arrivato nell’Europa orientale, non stavo cercando i barbari, ma certamente non mi sentivo più a mio agio nell’Europa occidentale e neanche in quella settentrionale. 

Stavo cercando qualcosa di destabilizzante. E visto che questa cosa l’ho trovata e mi è piaciuta tantissimo, ho deciso di fermarmi lì e ancora oggi ci vivo.

Dopo aver scritto questo libro, ne ho scritto un altro dedicato ai rifugiati e posso dire d’aver capito che né gli Europei dell’Est né i rifugiati sono dei barbari. E quando sono partito dal Mar Nero, risalendo il fiume controcorrente ho pensato – quasi in modo giocoso – che se gli europei dell’Est per me non erano dei barbari e non esisteva il wild east, ecco allora era quasi come se mi aspettassi di trovare quella barbarie risalendo il fiume, di incontrare l’anima scura del fiume in Germania nella Foresta Nera.

Però quando sono arrivato alla fine del mio viaggio in Austria e Germania, Paesi di cui conosco la lingua, ho scoperto con mia sorpresa che erano civilizzati. E anzi che queste popolazioni avevano molto da insegnare a quelle dell’Est – che amo molto – in fatto di ecologia e tutela ambientale. Naturalmente il Danubio diventa via via più selvaggio man mano che ci si sposta verso est e il rischio che questo elemento venga intaccato e distrutto è molto alto soprattutto nelle zone del delta. Se il mio libro contiene un messaggio questo ruota attorno a un invito fatto alle popolazioni del Danubio, tanto dell’est quanto dell’ovest, a confrontarsi, comunicare, scambiarsi soluzioni e informazioni come per esempio quelle relative al bellissimo lavoro fatto in Austria e Germania sulle dighe e la salvaguardia del fiume.

Quest’ultima cosa è interessante perché solleva una questione importante, ossia che la sua visione del Danubio non è, se così si può dire, germanocentrica o puramente mitteleuropea e che di fatto coincide con l’idea che spesso ci portiamo dietro del fiume. Sostanzialmente per molti di noi il Danubio è una sorta di costrutto culturale che è metafora della Mitteleuropa e che è legato a Vienna e all’Impero austroungarico. 
Ovviamente non è così e Thorpe restituisce al fiume la sua dimensione più ampia, fortemente legata alle specificità locali e soprattutto alla natura del fiume. Questo si percepisce in modo evidente dalla sua attenzione per la fauna, la flora, le descrizioni degli uccelli migratori presenti, ad esempio, nel delta del Danubio, per la curiosità verso i piccoli dettagli della natura del fiume. In questo senso il suo racconto del Danubio è molto diverso da quello che noi siamo abituati a sentire. 
 
La natura e gli ambienti selvatici hanno sempre catturato il mio interesse. I miei viaggi controcorrente verso la sorgente si sono svolti in parte in bicicletta, in parte in macchina o in barca. 
Pensiamo alle pecore che anche qui vedo pascolare sull’alpeggio. Benché non siano propriamente animali selvatici, nell’Europa dell’Est le greggi ancora vagano libere nel paesaggio. Nel mio Paese, l’Inghilterra, non è così. 
I pastori di per sé sono fra le persone più solitarie che esistono. Se si viaggia in automobile e ci si ferma per parlare con loro è molto probabile che i cani ti ringhino contro e ti blocchino. Se invece questo approccio avviene in bicicletta o a piedi, con gradualità, la reazione è diversa. Infatti alcuni dei personaggi del libro sono proprio pastori e li ho avvicinati così. Però ho incontrato anche tanti pescatori e ornitologi che mi hanno insegnato moltissimo durante il viaggio.
Del resto il mio libro contiene anche molta più archeologia di quanto pensassi quando ho iniziato a scriverlo. Questo perché mentre viaggiavo lentamente, ho scoperto musei che contenevano manufatti straordinari: statuine, ceramiche di 7 mila anni fa, in maggior parte femminili, che da alcuni archeologi sono viste come prove di società matriarcali antecedenti l’era del bronzo. 

La cosa straordinaria è che scopri tutto questo senza allontanarti dal fiume. 

In altre narrazioni siamo abituati a vedere il fiume come legame di tipo simbolico con incursioni che portano anche molto distanti dal corso delle acque. Thorpe invece, in modo straordinario, ci fa scoprire questo immenso patrimonio storico senza mai allontanarsi dal Danubio. Perché il fiume nasconde talmente tante storie straordinarie che non bisogna allontanarsi 100 o 200 km per trovarle. L’antica civiltà Vinča, la storia di Ada Kaleh, l’isola turca, storie di persone umili che lavorano e di civiltà passate. Quella di non allontanarsi dal Danubio è stata una scelta precisa? Perché si sente che c’è quasi un rapporto fisico e personale col fiume.

Mi sono sempre chiesto se il Danubio sia di sesso maschile o femminile. I romani lo rappresentavano come il padre Danubio con barba fluente, invece in tedesco è di genere femminile. Anche a me è sembrato il più delle volte di genere femminile. 

La mia intenzione era proprio quella di rimanere vicino al fiume o di mantenermi a una distanza tale da poterne sempre sentire l’odore. Anche nei tratti in cui mi sono mosso in auto, ho sempre usato le mappe per ciclisti perché con quelle riuscivo a rimanere il più vicino possibile alle rive del fiume. E un’altra mia ferma intenzione era quella di parlare con la gente comune che incontravo lungo l’alveo. 

Non andavo solo in cerca di persone che parlassero lingue a me note, perché c’è una specie di tradizione nella scrittura di viaggio inglese che vede l’autore arrivare in un certo posto e un po’ scherzare sul fatto che non riesce a comunicare in maniera adeguata con le popolazioni locali: in quel caso il libro che ne scaturisce è dedicato allo scrittore e alle sue avventure o disavventure con queste popolazioni locali che non parlano inglese (insomma, questi barbari).

Nei Paesi dei quali non parlavo la lingua mi sono sempre premurato di farmi accompagnare da un interprete che viaggiava con me e mi permetteva di avvicinarmi a qualsiasi persona. In questo modo parlavo con le contadine nei campi, con i pescatori, con i contrabbandieri sul delta del Danubio che fuggivano dalla polizia… persino con il traghettatore di turno…; questo malgrado il fatto che i traghettatori siano le persone più taciturne al mondo, quelle con cui è più difficile intrattenere una conversazione. Forse perché ogni fiume è il fiume Stige quello sul quale il traghettatore (Caronte) portava i morti. La scrittrice Margaret Atwood nel suo libro (Negoziare con i morti) sostiene che ogni atto di scrittura – in particolare narrativo – somiglia a un viaggio dello scrittore nel mondo sotterraneo per parlare/negoziare con i morti. E quindi è compito dell’autore raccogliere un gran numero di storie dai morti e riportarle alla luce nel mondo dei vivi.

 

“La mia intenzione era proprio quella di rimanere vicino al fiume o di mantenermi a una distanza tale da poterne sempre sentire l’odore”

Nel libro si riportano storie spesso sconosciute, e si percepisce una ricerca storica molto approfondita. Tra queste storie c’è quella di Miskin Baba, re di Bukhara in Asia centrale, che si mette in viaggio perché in sogno vede un’isola in mezzo al fiume dove della gente ha bisogno di lui e dopo varie peripezie giunge all’isola di Ada Kaleh dove viene sepolto. Oppure quella delle tombe dei monaci dervisci nella Dobrugia… 

Ti sei preparato prima? 

Quanto tempo hai dedicato alla ricerca per raggiungere questo tipo di profondità storica? 

Inoltre: sapevi che avresti cercato quei luoghi oppure li hai scoperti man mano che viaggiavi?

Devo dire che questo come altri miei libri è una sorta di antidoto a quello che è il mio lavoro quotidiano di giornalista politico.  
Per esempio, per quel che riguarda la storia dei dervisci sotto l’Impero ottomano, uno dei posti che amo maggiormente a Budapest è una specie di tomba/mausoleo dedicato a Gül Baba , che significa il padre delle rose. Gül in turco è la rosa. Quando mi sono trovato in Dobrugia, vicino al delta, ho scoperto una zona che si chiama Babadag che significa la collina dei padri. 

Poi c’è la storia dell’isola di Ada Kaleh che è andata perduta al momento della costruzione della diga tra Jugoslavia e Romania nel 1968. C’è questo famoso personaggio Miskin Baba che è arrivato su quest’isola condotto da un sogno. Sono storie come queste quelle che incontro e che però non posso utilizzare negli articoli scritti per lavoro. Ma quando si ha l’opportunità di fare un viaggio del genere scopri che accanto alla gente comune possono tornare a vivere anche personaggi storici. 

Un’altra cosa che ho fatto è stata quella di chiedere alle persone di raccontarmi i loro sogni riguardo al fiume: in questo modo puoi avvicinarti all’intimità delle loro esistenze.

Questa coesistenza di storico e quotidiano si nota molto nel libro e probabilmente dipende dal fatto che hai una profonda esperienza di quei luoghi. Ciascuno ha una stratificazione nella tua memoria: Budapest, il delta, tanto per citarne due, sono raccontati attraverso esperienze che si accavallano, costruite nel corso del tempo. Un semplice viaggio non avrebbe potuto originare un libro come questo.

Il fiume può essere abbastanza noioso se si resta seduti sulla riva ed è questo il rischio rispetto al mare. Per esempio in una città come Budapest se si resta seduti accanto al fiume si vedono gli edifici, poi le imbarcazioni, un uccello. Mi chiedevo come presentare un intero fiume in modo interessante. 

Durante il viaggio mi sono ripromesso di non usare mai la parola malinconia ad esempio. Anche nel caso in cui in un certo mattino il fiume fosse apparso veramente triste a causa della foschia, della nebbia o della pioggia. Ho viaggiato facendo brevi tratti, uno alla volta. Ho spezzato il viaggio in frammenti di 1 o 2 settimane, in cui partivo da una parte, giungevo a destinazione e poi, la volta successiva, riprendevo da dove mi ero fermato. Questo viaggio frammentato l’ho fatto in circa 18 mesi. Se ora chiudo gli occhi rivedo con chiarezza ogni tratto delle migliaia di chilometri del fiume. Allo stesso tempo se andate a vedere i miei articoli di giornale vedrete che ho lavorato parecchio su alcuni aspetti legati al fiume. Quindi ho sfruttato la possibilità di incrociare il mio lavoro di giornalista col racconto del fiume e portare, in questo modo, avanti il mio viaggio. 

 

“Il fascino dei Balcani è per me ancora molto vivo

 

Ti sei chiesto nella prima parte, almeno dal delta alla Serbia, in cosa consista il fascino balcanico? L’esotismo balcanico che attrae gli occidentali: quel misto di confusione, poesia, ritmi di vita completamente diversi. Una cosa difficile da spiegare che rende quella regione un luogo che ha una sua specificità ancora evidente nonostante i cambiamenti anche economici di questi ultimi anni.

Il fascino dei Balcani è per me ancora molto vivo. Per esempio i Bulgari chiamano il Danubio il Danubio bianco. Uno dei maggiori affluenti del Danubio in Ungheria si chiama Tisza e gli ungheresi lo chiamano Tisza il biondo. Però il Tisza nasce sui Carpazi in Ucraina dove esiste il Tisa bianco e il Tisa nero (in italiano il suo nome è Tibisco, quindi Tibisco bianco e Tibisco nero NdR). 

La situazione dei Balcani è particolare. 

In Serbia, per esempio, neppure i Serbi sono fedeli al Danubio. Perché alcuni di loro preferiscono raggiungere l’Adriatico per nuotare nel bellissimo blu adriatico invece che nuotare nel Danubio, o esplorare le Porte di ferro tra Serbia e Romania: un luogo spettacolare dove il Danubio si restringe e scorre attraverso pareti scoscese. 

Uno dei capitoli del libro si chiama “Il fiume zingaro”. Perché probabilmente una delle caratteristiche più esotiche per l’occidentale è l’abbondante presenza di Rom. 

Avendo vissuto così a lungo nell’Europa orientale ho scritto molto sui Rom, di cui ho potuto spesso apprezzare la compagnia. Per esempio nel Nord della Bulgaria mi sono trovato in insediamenti Rom dove distillavano con alambicchi di rame la grappa. Potrei parlare davvero a lungo dei Balcani.

 

La parte che mi ha probabilmente emozionato maggiormente e che ho anche trovato illuminante è quella dedicata al delta. A quale zona o parte del fiume sei più legato, quale ti ha emozionato maggiormente?

Devo ammettere che mi aspettavo per esempio di rimanere deluso in Germania perché pensavo che avrei trovato un fiume che quasi scompariva se confrontato ai tratti precedenti anche per il fatto che dopo Donaueschingen il corso del fiume si suddivide nei tre rami delle sorgenti. Invece non è stato così. 

Il delta è sicuramente il tratto più spettacolare e inatteso. Uno scrittore sloveno Marko Pogačnik che è molto attento allo spirito dei luoghi e che ha scritto anche su altri fiumi, parla delle varie età del fiume: infanzia, adolescenza, età adulta e vecchiaia. E naturalmente se si percorre il fiume dalla sorgente alla foce si percepisce il fiume come un essere che nasce alla sorgente e muore poi nel mare in corrispondenza del delta. Però se il viaggio lo fai al contrario, a quel punto il Mar Nero diventa matrice del Danubio. Proseguendo con lo stesso approccio si potrebbe pensare che il massimo vigore del fiume si trovi in corrispondenza della foce e che risalendo si indebolisca via via fino a scomparire alla sorgente.

L’incontro con i vari personaggi mi ha permesso poi di scoprire i molteplici rapporti personali con il fiume. Per esempio a Ulm un sarto turco mi ha detto che la vicinanza del Danubio lo faceva sentire più vicino e in connessione con la sua patria nel Mar nero. 

 

«Perché anch’io sono un gufo»

Ma ci sono anche altri episodi: un giorno pranzavamo in un ristorante a sud di Vienna e io parlavo con il ristoratore. A un certo punto una coppia di mezza età mi ha rivolto la parola dicendo che sembravo saperne parecchio del fiume. Si sono avvicinati a me perché, già anziani, erano alla ricerca di un luogo lungo il Danubio dove far gettare le loro ceneri dopo la morte e volevano sapere se avevo un posto particolare da consigliare. 

Alcuni luoghi in Austria li conoscevano ma erano interessati alla mia esperienza nei tratti più a est. Quella stessa notte mi sono incontrato in una foresta con due ragazze che studiavano i gufi: riproducevano i versi di quegli uccelli in posti diversi del bosco e a un certo punto i gufi hanno cominciato ad arrivare. Quando una di queste due ragazze mi ha dato un passaggio e riportato alla mia macchina, le ho chiesto perché si interessasse ai gufi e lei ha risposto:  «Perché anch’io sono un gufo».

IL DANUBIO
Un viaggio controcorrente dal Mar Nero alla Foresta Nera

NICK THORPE

TRADUZIONE DALL’INGLESE DI ROBERTA CATTANO, GIULIA MARICH, IVAN PAGLIARO

COLLANA K ESSAY | PAGINE 392 | FORMATO 16CM X 22CM | € 24,00 | ISBN 979-12-5952-034-0